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Jonathan VanDyke
Una radicale intimità pervade molti aspetti del notevole corpo di lavori di Jonathan VanDyke. La sua pratica, un’espansione della pittura che abbraccia lo spazio, il gesto e le varie stratificazioni del codice visivo, ruota intorno all’ampio dialogo tra l’artista e i suoi collaboratori.
Dal 2011, VanDyke ha dato vita ad oggetti generati attraverso una pratica di movimento sviluppata in collaborazione con una coppia di danzatori, David Rafael Botana e Bradley Teal Ellis. Per questa mostra, VanDyke inizia raccogliendo ritagli di tappezzeria e rivestimenti usati nell’industria del tessuto. L’artista poi li assembla in fasci che sembrano ricordare un lavoro poco noto di Jackson Pollock; infatti nel 1949 Jackson Pollock ha realizzato una piccola maquette di filo metallico e gesso per una scultura di notevoli dimensioni che non ha poi mai portato a termine. La fotografia dell’artista raffigurante una mano tesa all’interno di un modellino che riproduce la mostra ospitata negli spazi della galleria, è una diretta citazione di una storica fotografia di Pollock la quale rappresenta la sua maquette entro un modellino del suo “museo ideale”. Le bobine di materiale evocano le viscere e, secondo l’artista, ricordano un’illustrazione di testicoli visti in sezione che lo affascinava da bambino.
VanDyke immerge questi fagotti nella vernice, per poi gettarli e posizionarli su delle tele stese sul pavimento dello studio. Essi vengono poi spinti l’uno contro l’altro dai danzatori che ci si rotolano sopra. Durante questo processo, i danzatori indossano magliette e camicie, sul cui tessuto la vernice crea impronte straordinariamente dettagliate. Sono proprio queste camicie ad aver generato la maggior parte delle opere in mostra. Le camicie sono state tagliate in pezzi la cui forma fa riferimento a un pavimento in marmo nel rione Parione di Roma. Il retro di ogni pezzo viene ricoperto di lino che è stato ritagliato da vecchi tailleur di sua madre, biancheria da letto e tovaglie di famiglia, aggiungendo sul retro lavoro un ulteriore livello di informazione. Infine, i pezzi vengono disposti e cuciti insieme in una composizione che da vita alla serie delle opere in mostra.
I dipinti rivelano una potente padronanza della materia e dell’articolazione gestuale che è stata sviluppata in oltre un anno di intensa sperimentazione e ricerca con Ellis e Botana.
Questi shirts paintings sono montati su una struttura in legno, modellata con un motivo derivante da un dettaglio architettonico modernista che l’artista ha fotografato a Roma. Lo steccato è costruito in modo tale che lo spettatore possa addentrarsi in un corridoio e visualizzare anche il retro delle opere.
Questo modo di fissare le opere, distanziandole dal muro, ricorda il museo ideale di Pollock, dove egli immaginava di posizionare i lavori in mezzo alla stanza, come fossero pannelli divisori. Nei corridoi dietro i quadri, lo spettatore scopre una serie di piccole fotografie stampate a mano, in camera oscura, utilizzando la tecnica di stampa in gelatina d’argento.
L’artista utilizza il processo di stampa analogico riconoscendo in esso il legame con il tempo e il tatto, caratteristiche proprie della pratica pittorica.
Allison Unruh, storica dell’arte e curatrice, ha scritto dell’installazione: “Sovvertendo la gerarchia pittorica, VanDyke coinvolge la nostra visione su entrambi i lati dei lavori. L’installazione, mossa da un tira e molla tra pienezza visiva e interstizi della staccionata di legno naturale, alternativamente rivelando e nascondendo, riecheggia le dinamiche dei corpi coinvolti in un mutuo e reciproco scambio”
* Il titolo della mostra si rifà al sonetto “Voyelles” (1883) di Arthur Rimbaud
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