1/9unosunove è lieta di annunciare l’inaugurazione di
Pietro Moretti
Selve
a cura di Simone Zacchini
To lose yourself: a voluptuous surrender, lost in your arms, lost to the world, utterly immersed in what is present so that its surroundings fade away. In Benjamin’s terms, to be lost is to be fully present, and to be fully present is to be capable of being in uncertainty and mystery. And one does not get lost but loses oneself, with the implication that it is a conscious choice, a chosen surrender, a psychic state achievable through geography.
REBECCA SOLNIT, A Field Guide to Getting Lost (2005)
Le opere inedite che compongono il nuovo progetto espositivo di Pietro Moretti (Roma, 1996) — prima personale nella sua città natale, ospitata da 1/9unosunove — scaturiscono da riflessioni sul perturbante e sulla meraviglia della vita urbana contemporanea; in particolare, sull’interazione tra il potere autoritario della civiltà e la forza irriducibile della natura, intima e al contempo estranea. In mezzo a questo intrico di paradossi insanabili si perde, tra rovi e farfalle, luci fredde e violenza, il corpo: baluardo e soglia, sempre più smaterializzata, delle possibilità di conoscenza del mondo, anche quelle più oscure e indesiderabili.
I corpi dei personaggi dipinti da Moretti — indisciplinati, feroci e stanchi, alienati in uno stato ipnagogico che assume anche accenti teneri e goffi, quando non esplicitamente comici — risultano inseriti in un microcosmo di storie perdute (o perdenti?) nelle selve della contemporaneità. Seguendo la lezione foucaultiana, si tratta di corpi che possono essere allo stesso tempo strumenti di potere, resistenza e sperimentazione. Ma questo espanso universo di possibilità li fa ancor più instabili e incoerenti, divisi tra l’esplicita brutalità del mondo reale a cui appartengono e l’affabilità estetica di un universo immaginario in cui vorrebbero rifugiarsi.
Tenendo a mente questo senso di complessità, Moretti realizza un intervento pittorico site-specific di dimensioni ambientali, quasi in scala uno a uno, in cui lo spettatore sprofondi fisicamente all’interno di un immaginario narrativo e visivo senza soluzione di continuità, come in una sorta di ciclorama pittorico, articolato da tele composite. Storie, personaggi, dettagli s’intrecciano e ricorrono più volte in diverse situazioni, nelle quali lo scenario visivo unificante della “selva” materializza il dialogo tra reale e mondi immaginabili.
Infatti, tutte le tele dipinte a olio esposte nella prima sala sono pensate all’interno di una selva che, oltre che all’immediato riferimento dantesco, rimanda a un sonetto di Vittorio Alfieri e a quella mente che nella foresta si rifugia, «si rinselva» (Tacito orror di solitaria selva, 1786). Declinata in varie accezioni, come indica fin da subito il plurale scelto per il titolo, la selva di Moretti è uno scenario metamorfico: presenta chiari riferimenti realistici (bosco, parco, ma anche paesaggi cittadini da “foresta urbana”) a cui si mischiano significati figurati (moltitudine di cose o persone molto fitta, intricata e confusa) e simbolici, in cui la selva può essere intesa come scenario di fiaba. Luogo di fuga e nascondiglio misterioso e attraente, che contrapposto alla città illumina, come insegna l’imprescindibile Henry David Thoreau, diversi modi di vivere e di pensare.
Come nella stessa selva, in tutti i quadri esposti vi è compresenza di elementi realistici e immaginari, in cui mito e fiaba si mischiano alle proiezioni mentali dei personaggi ritratti e alle loro storie. Un immaginario simile riecheggia anche nella seconda sala, con tele di formato più piccolo e acquerelli su carta. Attraverso accostamenti sorprendenti, a volte anche disomogenei, questi lavori fanno da contrappunto alla narrazione principale, come una trasposizione visiva di una serie di annotazioni sparse: altra possibile definizione figurata di “selva”, che è anche uno strumento creativo ampiamente utilizzato da Moretti nella sua pratica pittorica.
L’idea primordiale della mostra è scaturita da una fotografia giornalistica, quella di una formazione di poliziotti in tenuta antisommossa immersi da soli, senza apparentemente nessun pericolo da fronteggiare, nella natura idilliaca della parte boschiva del Volkspark Hasenheide di Berlino, città dove Moretti si è trasferito da qualche tempo, e a cui rimandano molti dettagli dei quadri esposti.L’assurda contrapposizione tra il rigido schieramento delle forze dell’ordine e la vivacità anarchica della foresta evoca il clima politico paranoico e contraddittorio di questi ultimi anni, in cui si inseriscono le vicende narrate nei dipinti.
Strettamente legata al suo contesto di realizzazione, eppure così lontana da esso, la pittura di Moretti non cerca di risolvere o dare risposte; al contrario, il suo alfabeto visivo rende ulteriormente articolata la rappresentazione, inserendola in un collasso temporale dove molteplici storie di differenti epoche si intrecciano al ritmo della vegetazione. Composizioni fragili, ma allo stesso tempo potenti, in cui la condizione naturale post-adamitica, e la conseguente civilizzazione, non possono che interfacciarsi con la dimensione della violenza, anche in forme subdole e implicite. L’uscita dal giardino delle delizie apre alla selva, alla vergogna (come nella citazione visiva diretta dell’episodio biblico dell’ebbrezza di Noè), ma anche alla scoperta del sé in relazione a un mondo non più perfetto, estremamente complesso e stimolante, ma in cui è facile perdersi.
I personaggi che abitano la mostra si muovono in bilico tra il desiderio di evadere il reale, incapaci di trovare il proprio posto in esso, e il tentativo di rimodellarlo, ancora indecisi se accettare la sconfitta o ribellarsi a questo dato di realtà, emblematico della loro condizione esistenziale. Le azioni sono come cristallizzate in una sorta di stato di sospensione tra un qualcosa che sta per accadere e un qualcosa che è già accaduto: una condizione di attesa e spaesamento di corpi persi in diversi modi, in diversi mondi. Mischiando la viscosità malinconica dei ricordi al carattere effimero e artificiale dei riflessi nelle vetrine o nei finestrini degli autobus, i personaggi di Moretti, avvolti dalla luce fredda della città o da quella naturale filtrata dai rami degli alberi, si districano tra gli abbagli costruiti ad arte dai “pifferai magici” della propaganda.
I dipinti in mostra vivono di ambivalenti interpretazioni, come a rispecchiare questo dialogo tra l’immaginario naturale della selva e quello costruito della città. Entrambi possono essere intesi come spazi d’ingovernabilità, illusione e inganno, dove s’intrecciano ansie, paure e solitudini, e in cui tutto vive in un continuo scambio reciproco tra prendere forma e scioglimento, nudità e occlusione, essere preda e predatore.
Unendo riferimenti al quotidiano, al proprio vissuto e ai racconti delle persone che lo circondano con rimandi più o meno espliciti alla storia della pittura (Giovanni Bellini, Carl Spitzweg) e della letteratura (Horacio Quiroga, i fratelli Grimm, James Graham Ballard), Moretti pone in dialogo nelle sue opere il piano della realtà con le sue possibili proiezioni immaginarie. Cercando con la sua pennellata multiforme una figurazione che si allontani dal terreno della riproduzione fattuale del reale, pur restando profondamente impregnata di esso e delle sue contraddizioni, l’artista punta a instaurare un rapporto straniante con lo spettatore, che si trova di fronte a una pittura densa e intensa che lo spinge a interrogarsi sul sentirsi perduti come condizione necessaria alla conoscenza di sé.
Simone Zacchini
Pietro Moretti (Roma, 1996), vive e lavora attualmente a Berlino. Nel 2020 si laurea presso la Slade School of Art, University College di Londra. Tra le sue mostre personali: Il falò dei gonfiabili, Collezione Iannaccone (Milano, 2023), Le storture del cactus, Galleria Doris Ghetta (Milano, 2023. Ha partecipato a numerose collettive. Tra le più recenti: Le cose che non sappiamo, Galerie Romero Paprocki (Parigi, 2024); When in Rome, Album Arte (Roma, 2024); Inneres Auge, Galerie Mazzoli (Berlino, 2024); Drive Me Acid, Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea (Roma, 2024); Sensing Painting, Castello di Rivoli (Torino, 2023); Pittura italiana oggi, Triennale (Milano, 2023); Shipping Address, Palazzo Monti, (Brescia, 2023); Figure Out, 1/9unosunove (Roma, 2022); Post fata resurgo, Spazio Amanita (Firenze, 2021). Tra i premi e le residenze a cui ha partecipato: Palazzo Monti (2023), Sicily Artists Residency Program (2020), Robert Ross Price (2020). Le sue opere fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private come quella del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea (Torino) e la Collezione Giuseppe Iannaccone (Milano).
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